I "DIGITAL CRIMES": LA SOSTITUZIONE DI PERSONA SU FACEBOOK
E' reato la creazione di un profilo Facebook con nome di fantasia associato all'effige altruiLa crescente diffusione di internet e dei social network, quali Facebook, Instagram, Twitter, va di pari passo con la proliferazione dei cosiddetti “digital crimes”, ossia di quei reati commessi all’interno o per mezzo dei medesimi social network.
Uno fra questi è rappresentato dalla sostituzione di persona, reato punito dall’art. 494 c.p., ai sensi del quale: “Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all’altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici”.
Sul tema la giurisprudenza è ferma nel ritenere che integri il delitto di sostituzione di persona la condotta criminosa consistita nella creazione, su un social network, di un profilo avente un nome di fantasia, che riproduca, però, l’immagine di un’altra persona e nel conseguente utilizzo, con tale falsa identità, dei servizi del sito, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con gli altri iscritti, indotti in errore dalla identità dell’interlocutore, e di condivisione di contenuti.
L’imputato, nel caso in esame davanti al Giudice di legittimità (sentenza sopracitata) aveva, infatti, creato ed utilizzato su un social network un profilo con un nome di fantasia, associandolo, tuttavia, all’immagine di un’altra persona, del tutto inconsapevole.
La Suprema Corte ha ritenuto possibile integrare il dolo specifico richiesto dalla disposizione dell’art. 494 c.p. anche mediante la pubblicazione di un profilo su internet non del tutto riferibile alla persona offesa, ma comunque ad essa ricollegabile tramite una fotografia, qualora la condotta sia finalizzata a conseguire un vantaggio o a recare un danno.
E’ pertanto possibile integrare la fattispecie delittuosa di sostituzione di persona creando un profilo in un social network non del tutto riferibile alla persona offesa, utilizzando cioè una fotografia e non il nome reale della persona offesa.
Tale contegno è sufficiente per attribuirsi l’identità della persona offesa, inducendo altresì in errore coloro i quali comunichino con il “falso” profilo tramite chat, o mediante l’inserimento di commenti a “post” e immagini presenti su quella pagina Facebook.
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